1955-1960: La Formazione

La formazione di Renzo Ferrari ha come teatro sociale la città di Milano in anni memorabili di crescita: il decennio tra i cinquanta e sessanta di tendenza economica speculativa. L’apprendistato per lo studente d’arte – liceo artistico e Accademia di Brera – è immerso nel tumulto della "città che sale ” e, in parallelo, nella cognizione del dolore per la fine del mondo rurale: una civiltà quasi estinta. Ferrrari e alcuni colleghi di generazione fanno gruppo nel  territorio della loro formazione: lo slargo davanti all’edificio di Brera, la galleria delle Ore e la mappa urbana comprensiva di biblioteche, musei, collezioni, gallerie d’arte; il tutto arricchito da alcuni viaggi a Monaco di Baviera e Parigi. Ferrari, ticinese di origine, ha una precoce bussola orientata al nord e chiude gli anni accademici con una tesi su James Ensor assegnatagli da Guido Ballo ed è segnato - uno stigma - dalle sue fonti visionarie. Ne risulta una formazione tutto sommato autonoma in una Milano ancora dominata dal  linguaggio dell’informale e dal delinearsi di una neo avanguardia radicale (Fontana, Manzoni e gruppo Azimut).

1960-1965: Lo sguardo da fuori: la natura, la luce

Ferrari ha sempre guardato da fuori le cose, le figure e la natura: nessuna osmosi, uno sguardo sul mondo, la realtà che l’occhio riprende da fuori. Il pittore dipinge il paesaggio dopo un forzato ritorno a Cadro  nel 1963 ed elabora una nuova nozione di natura che lo accompagnerà sino alla soglia degli anni Novanta: una natura senza stagioni, senza tempo. Il tempo circolare che in quegli anni domina ancora un esausto naturalismo padano con Ferrari collassa. Il tempo in questi quadri è quello che sarà futuro nell’”Uomo dell’Olocene” che Max Frisch mette a segno a fine anni Settanta. Natura: grandi spine, intrichi vegetali quali nasse inospitali, e la ricerca di un nuovo sguardo si accompagna al varco aperto nel conflitto natura-techné dal pittore inglese Graham Sutherland. La luce nella pittura di Ferrari sembra avere origine da una grande lampada al neon accesa che batte sulla tela in uno spazio chiuso con aumento del cromatismo timbrico.

 

1964-1968: Il nuovo racconto - La dimensione Pop

Una nuova situazione si avverte dopo la visione della Pop Americana alla Biennale di Venezia del 1964; muta di conseguenza la morfologia del racconto: una giacca si insedia nel verde come una grande crisalide isolata nello spazio. Ferrari, tornato a Milano a metà degli anni Sessanta, mette in scena con disegno duro e colori fosfotici corpi-macchina, congegni muniti di aculei, oggetti ansiosi. Nella city fa i conti con una condizione esistenziale mutata, c’è una diversa quotidianità e la spinta potente del linguaggio pop. Una nuova civiltà si afferma definitivamente, quella industriale, e il pittore è dentro questa rinascita del discorsivo, dell’oggettività.

1969-1975: Natura-Artificio

Con una incredibile semplicità di impostazione e coerenza, il processo di indagine sulla realtà procede – in assenza evidente di episodica politica – con quello che è il tema apertamente “politico”. Compare nella seconda metà degli anni Sessanta: l’autore lo chiama “natura e artificio” e coincide con una raggiunta maturità espressiva. I moventi del lavoro del pittore si rifanno ad alcune esplicite evidenze di cronaca politica del tempo come Primavera a Segrate (1972), morte di un editore rivoluzionario su un traliccio della corrente elettrica alla periferia di Milano, e Santiago (1973) fine cruenta dell’esperienza repubblicana in Cile. Per Feltrinelli una tela di fisionomie e lacerti di figura dilaniati nel flusso di una spazialità di natura. Per il Cile di Alliende la macchina repressiva che schiaccia umani e territorio. Molti gli “avvenimenti” quale tensione e stimolo all’origine di una fertile e copiosa produzione di oli e di carte: Graffiti urbani (1973-1974), Figure e robot (1973-1974), Nel rosso (1973).

1975-1980: Gaio, Urbani, Mimesi

Quando Ferrari ancora nella prima metà degli anni Settanta affronta il ciclo dei GAIO, abitanti della metropoli, compare nel linguaggio un abbandono felice, partecipato, legato in quel periodo a una vicenda di liberazioni anche individuali. I “Gaio” sono mimesi e fascinazione, io e l’altro in uno stesso corpo, figure che cinguettano nelle loro riserve a Porta Venezia, a Porta Ticinese. Sono perplessi, vivono di ambiguità e soffrono l’ambiguità, ma non si dà un carattere drammatico alla loro rappresentazione che ha persino declinazioni fiabesche, anche se per contraddizione i GAIO sono una metafora vivente del disagio identitario. Seguono i cicli degli URBANI - abitatori della city di scarsa emancipazione, lemuri cavernicoli - e delle MIMESI, figure di un impossibile rientro-riscatto “nel vasto disegno della natura”. Quello che con i GAIO poteva affermarsi come una dimensione sovversiva e forse felice, si rovescia e ferma in una sopraggiunta meditazione e perplessità. Vi si accompagna una sequenza di quasi autoritratti: interrogativi di identificazione (Pasolini) dove una qualità tradizionale della pittura introduce una possibile funzione analitica. Probabile che incida il ripiegamento del sociale nel mondo che si dà, che conti la piega drastica, ultimativa che prende lo scontro sociale.

1982-1987: Periodo Nero - Diary Eco - Desaster

Negli anni Ottanta, il movente, il tema che urge e comporta un salto generazionale (pochi gli autori sentinella) è l’assunzione del dramma della devastazione del territorio e l’avvelenamento della natura. Il dramma ecologico sembra essere anticipato dallo scurirsi del colore fino al nero estremo con le figure calate entro una notte fonda oppure bruciate-combuste: Uscire (1982). Nel 1986, in luglio, in una delle estati della pittura di Ferrari, esplode un reparto della fabbrica Icmesa di Seveso (Monza), alzando una grande nube tossica e diffondendo su un largo territorio della Brianza diossina (TCDD). È l’avvelenamento di una larga zona abitata e coltivata prodotto dalla multinazionale svizzera La Roche. Pensare Ferrari in quegli anni, alla sua solitudine, è pensare alle battaglie di Barry Commoner (1917-2012) lo scienziato newyorchese autore di “La natura, l’uomo, la tecnologia” (Garzanti 1972) che sul teatro dei desaster altri ne annuncia: Bohopal nel 1984, Chernobil nel 1986. Il pittore da tempo manda segnali forti di questi “avvenimenti oscuri”. Per queste ragioni nel suo immaginario emergono incubi notturni: in opere quali City-Urbani (1980-1986) e Per Zarathustra (1987).

1990-2000: Africa, Merica, Privato e Pubblico

 I quadri che riguardono l’Africa, compaiono già alla fine degli anni Ottanta e insistono per tutti gli anni novanta e oltre. Il ciclo è come annunciato con molto anticipo da una piccola opera Caput mortuum e fiore (1960-1961), un memento riferito alle tante cronache ferali di quegli anni. Il pittore a proposito di questo nuovo racconto parla di “effetto vivificato” da un piglio graffitista, di ritorno al colore e a figure stagliate: Afriche con varie apparizioni di suonatori di magiche musiche e sacri gong.  Ferrari insegue un riscatto – attraverso l’imago – dei protagonisti stessi della scena dipinta. La sua cognizione del dolore è presente nei dipinti con titolo Barca, sono legni precari affollati di migranti-mutanti che cercano approdo alle nebbie di un nostro Stige, consapevoli degli esiti finali. Merica, rimanda ai quadri dedicati ai viaggi a New York nel 1995 e nel 2004. L’itinerario negli Stati Uniti prevedeva anche una visita a Santa Barbara, cittadina della California, dove è emigrato prima della crisi del '29, il nonno paterno, muratore poi cavallaro a cui Ferrari ha dedicato recentemente la grande tela Los Angeles Mandrake per Papin (2016). Presente e dominante in questo lavoro con il ritratto dell’avo è l’uomo mascherato fumetto che con l’uomo Ragno racconta attraverso l’immaginario di massa il secolo americano. A Santa Barbara non arriverà mai, a New York viaggio “nel cuore di tenebra dell’Occidente c’è una maledizione nell’aria”. Nel settembre 2001 dipinge il desaster e molto dopo – l’impatto magico elettrizzante dello Skyline del primo viaggio – visita il Ground Zero laddove svettavano le Due Torri. New York la megalopoli vista dal basso, disegnata dal basso, si alza sopra la testa del pittore che tenta di registrarne la vertigine in Afterny-Movimenti (1996). Dentro questi ultimi anni si confronta con grandi quadri espliciti di ambito familiare: Night gli sposi e l’uomo ragno (2013) e i Coniugi Arnolfini (2011).

Dal 2000: World diary.Angelus novus.Ferrari ha pensato spesso nel contesto attuale a una pista  che è "Angelus novus” di Klee commentata da Walter Benjamin (1892-1940) come segue: “sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato: dove a noi appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta si è impigliata nelle sue ali, ed è cosi forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui fino al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta.”